Vittorino Andreoli: «Da vecchi non serve più dimostrare nulla...»
Fonte: corriere.it
23 febbraio 2019
Nel suo ultimo libro Il rumore delle parole (Rizzoli editore) elogia una delle età più difficili dell’esistenza: «Stagione della vita meravigliosa»
Vive al 22° piano di un palazzone di periferia. L’appartamento è di proprietà, ma il vecchio ha poche altre luci nella sua vita. La solitudine è una scelta ma pesa lo stesso. Qualcuno gli ha detto: hai provato con Internet? E lui piano piano si convince a usare la Rete, ma a modo suo. Comincia con un microfono a registrare delle specie di lezioni e le affida al web. Parte dai 25 lettori, pardon follower, di manzoniana memoria raccattati con la prima lezione dedicata alla parola democrazia. Con la seconda lezione in cui parla di assurdità arriva a 2500, la bellezza gliene regala 10 mila e con l’ultima, la vecchiaia, siamo a 25 mila. L’uomo usa a malapena il cellulare, niente social, niente chat, anche poca televisione. Eppure ce la fa lo stesso a conquistare quelle menti sconosciute che si avvicinano a lui dal mondo virtuale. «Ma alla fine capisce che la cosa migliore è suonare il campanello del vicino e vedere cosa può fare per loro». Così conclude il suo «elogio della vecchiaia» Vittorino Andreoli, psichiatra di fama mondiale, infaticabile scrutatore dei meandri della mente, studioso dell’evoluzione e della plasticità del cervello nel suo nuovo libro Il rumore delle parole (Rizzoli editore), in copertina un uovo candido su fondo bianco, appena appena incrinato in un punto: «Simbolo della fragilità del vecchio. Ma anche dell’uomo di oggi».
La vecchiaia ci salverà?
«Sicuramente. La vecchiaia è bella, perché non più legata alla prestazione. Non devi dimostrare niente. Non si può pensare che un uomo sia da buttare nemmeno se è rotto, o una donna se non ha più un seno secondo la moda. La vecchiaia fa l’amore, diciamolo, certo in modo diverso, di sicuro non quello della lotta greco romana. È un altro capitolo della vita: mi piace e la cito anche nel libro, la tenerezza con cui Sàndor Màrai, nel suoi diari intitolati L’ultimo dono, ormai vecchio, parlando della moglie, una donna altrettanto vecchia e bisognosa di tutto il suo aiuto, si sofferma a descriverne la bellezza, aggiungendo che mai l’ha vista tanto bella come adesso che entrambi sono legati anche da necessità e sicuramente ormai fuori da ogni canone della bellezza di mercato».
Altro che rottamazione, dunque...
«È proprio una parola che non mi piace. In Africa, dove sono stato a lungo, il capo villaggio era un vecchio che ti ascoltava e ti inseriva nel gruppo. Aveva il bastone, che è così importante nella storia dell’antropologia, simbolo prima di tutto di salvezza, perché il vecchio nella foresta con il bastone allontanava il serpente. Ecco, credo che se ci sarà un ritorno all’umanesimo verrà dei vecchi, non dai giovani e neppure da questi professionisti in carriera che corrono sempre. Altrimenti vuol dire che abbiamo sdoganato l’attesa di vita soltanto per suicidarci. Come può l’Umanesimo esserci senza i vecchi? È come se dicessimo come può l’universo maschile esserci senza la donna, la donna è sacra non perché produce figli, ma perché li può produrre».
E lei amico delle donne lo è sempre stato, e in casa ne ha parecchie.
«Mia moglie prima di tutto che è psicanalista freudiana. siamo praticamente coetanei siamo insieme da più di 50 anni, il comune di Verona ci ha anche festeggiato per questo. Lei solare ottimista attiva, io pessimista, ma attivo anch’io».
Coppia perfetta?
«Le racconto un episodio. Io ho lavorato a lungo all’estero. A Boston era finito il mio periodo e con mia moglie e le due figlie piccole pensavamo di tornare in Italia, quando mi dicono che il Senato accademico mi offriva un posto per rimanere. Una bella occasione. Torno e lo dico a mia moglie e ricordo ancora le sue parole: ”Vittorino sono molto contenta per te perché te lo meriti. Ma io e le mie figlie torniamo a casa”. Ho capito e siamo tornati tutti».
Pentito, rimpianti?
«No. Si deve scoprire il significato della donna, il gusto che c’è nel poter dare a una donna, nel ricevere. Altrimenti si rimane bambini per sempre. O barbari predatori. La donna è andata avanti tantissimo. Il dramma è che gli uomini sono rimasti omuncoli. Ma poi se si vuol cambiare, bisogna cambiare insieme. Lo dicevo spesso con Ida Magli, amica e grande antropologa, una società non può crescere a una dimensione. Come c’è donna e donna, così c’è uomo e uomo. Ma credo che sia impossibile cambiare la famiglia se non si cresce insieme, anche ai figli. Si cresce come gruppo».
Il suo gruppo è composto da tre figlie, Chiara, Valentina e Silvia, tutte laureate con 110 e lode, e 5 nipoti (un solo maschio). Soddisfatto, come padre?
«Deve chiedere a loro. Ormai con figlie di questa età non faccio più il padre, io faccio il nonno. Fare il nonno è un gioco. Ma difendo la voglia di non giocare se non ne ho voglia».