Vittorino Andreoli: «La vita digitale indebolisce e spezza le famiglie»
Fonte: corriereinnovazione.corriere.it
5 marzo 2021 | Roberta Scorranese
Nel libro La famiglia digitale (Solferino) il celebre psichiatra accusa il mondo virtuale di alimentare i mutismi mentre nelle relazioni sono fondamentali i conflitti e non gli unlike
Professore, ma lo smartphone si può spegnere?
«Sì, ma non sembra anche a lei una ipotesi assurda? Voglio dire, il solo pensiero di doverlo staccare per un po’ manda nel panico la maggior parte di noi. Pensiamo a quando ci sembra di averlo perso: angoscia, sensazione di non funzionare più». Vittorino Andreoli, psichiatra tra i più conosciuti e apprezzati, lo dice da tanto tempo: la vita digitale ha soppiantato la vita reale, anzi ormai distinguere i due piani è un esercizio inutile. Fine analista delle relazioni, il professore di Verona ha scritto un libro per Solferino dal titolo La famiglia digitale, dove, in brutale sintesi, dice: la realtà virtuale spezza le famiglie, perché la famiglia è sede di necessari e sani conflitti, mentre nel mondo virtuale il conflitto si elimina con un semplice «non mi piace».
La verità, dunque, è che da anni viviamo in un mondo de-conflittualizzato?
«Le tensioni che si registrano sui social non sono reali, perché basta silenziare un account, oppure togliere un “like”. Facile, no? Sono finti conflitti, sono teatro. La verità è che ci siamo abituati a far sparire quello che non ci piace, ma poi, quando torniamo a casa alla sera e troviamo una madre depressa o un marito che si lamenta, stiamo male perché non possiamo farli sparire».
Ma possiamo far loro del male.
«Ecco come la tecnologia può danneggiare una famiglia. E dicendo “famiglia” io do una grande importanza al luogo fisico, al tempio dove si celebra l’unione tra i suoi membri, l’amore, le relazioni. Si resta sempre in attesa di notizie, notifiche, informazioni da quegli apparecchi. Dettagli che avvertiamo come basilari per la nostra vita e che in realtà non sono che espedienti per distrarci».
Il famoso effetto «si parla di me». La luce della notifica ci annuncia qualcosa che ci riguarda, che dobbiamo assolutamente scoprire.
«Questo allontanarsi gli uni dagli altri per inseguire le notifiche alimenta i silenzi in famiglia, anzi direi i mutismi, perché il silenzio è qualcosa di fertile dal punto di vista spirituale, oltre che di nobile. E il mutismo spezza il campo di forza che ogni famiglia crea intorno a ciascuno dei componenti».
Professore, spieghiamo qual è, dal punto di vista scientifico, la differenza tra un «feeling» che si prova online e uno nella vita vera?
«È fondamentale: da una parte ci sono le emozioni e dall’altra i sentimenti. Le emozioni sono promosse da stimoli che si presentano in una forma o in un contenuto di novità rispetto al procedere ordinario e quasi meccanico dello scorrere del tempo. Per dire, una buona notizia oppure il dispiacere per una disgrazia altrui. I sentimenti però sono cosa diversa. Sono legami e non si attivano in seguito a uno stimolo, ma esistono in modo duraturo». E come tali sono anche conflitto.
«Quando vivevo negli Stati Uniti una volta la grande antropologa Margaret Mead mi disse, parlando di un conoscente comune: “Sono un po’ preoccupata, non litiga da tempo con la moglie”».
Lo scontro è così necessario per il consolidarsi dei sentimenti?
«Ma certo. Ci illudiamo che le amicizie online siano legami: è falso. E non credo agli amori che vanno lisci come l’olio: se ne vede uno me lo porti, quelli sono da curare».
Quanto certa politica, negli ultimi anni, è rimasta vittima del meccanismo «mi piace/non mi piace», finendo per scomparire perché ci siamo convinti che basti un clic per eliminare ogni imperfezione e arrivare alla purezza ideologica (che è illusione, beninteso)?
«Ma non solo la politica, tante situazioni virtuali si ripercuotono nella vita reale. Pensiamo solo ai rapporti sentimentali!»
Gli insegnanti, a scuola, impongono di lasciare fuori il cellulare. Un bene o un male?
«Secondo me è inutile. Per i ragazzi il telefonino è la vita: obbligandoli a lasciarlo fuori dall’aula è come chiedergli di sospendere la vita vera per entrare in una dimensione finta. Meglio allora educarli a usarlo. Per esempio, affidando loro un monte ore, un tempo settimanale o mensile che possono spendere collegati. Così li si responsabilizza e imparano a gestire il tempo. Attenzione però a mettere in pratica queste imposizioni. Posso raccontarle un caso che ho seguito? Conoscevo un ragazzo che non riusciva a staccarsi dalla console, completamente immerso nei suoi giochi. La madre, esasperata, gliela buttò dalla finestra. Quel ragazzo si buttò a sua volta nel vuoto».
Professore, come vede il futuro?
«Temo che l’industria robotica avrà maggior successo nel fare di un uomo un robot piuttosto che, al contrario, nell’avvicinare un robot a un essere umano».