“Non si deve tornare ai manicomi servono più medici, non più poliziotti”
Fonte: La stampa
25 aprile 2023 | Monica Serra
Il professore: “La chiave è dedicare tempo ai pazienti legarli ai letti è assurdo, per i casi acuti ci sono i farmaci”
«Non servono poliziotti davanti agli ambulatori. Serve assumere più psichiatri che abbiano il tempo necessario per fare le giuste valutazioni e per le malattie mentali non ci possono essere liste d’attesa». Il tono pacato del professore Vittorino Andreoli, specializzato in psichiatria, neurologia e farmacologia, si infervora. Il caso della collega della clinica universitaria del Santa Chiara di Pisa, Barbara Capovani, massacrata a colpi di spranga da un ex paziente genera «un grandissimo dolore» in lui come in tutta la comunità scientifica. «I manicomi erano un obbrobrio, io stesso ne ho chiuso uno - spiega Andreoli - ma i reparti di Diagnosi e cura presenti in Italia non sono sufficienti per curare i disturbi deliranti (schizofrenia, maniacalità, paranoia), che possono portare alla violenza nei confronti degli altri, e la depressione melanconica, che può portare a gesti di autolesionismo anche estremi. Per queste patologie, che si presentano soltanto nel 10, 12 per cento dei casi, servono luoghi di cura prolungata in cui la degenza possa durare uno o due mesi e non 15 giorni al massimo come accade nei reparti oggi».
Professore, che differenza c’è con gli ospedali psichiatrici?
«Non c’entrano nulla. Parlo di strutture più piccole per 40/50 pazienti al massimo se pensate a livello regionale e non per 5 mila come era il Santa Maria della Pietà di Roma o 1.200 come il San Giacomo di Verona. E poi ciò che caratterizzava gli ospedali psichiatrici era il modo in cui veniva trattato il paziente. È più ospedale psichiatrico un reparto di Diagnosi e cura in cui ancora oggi in Italia si legano i pazienti -e ce ne sono- rispetto a queste strutture».
Quale dovrebbe essere l’approccio?
«Scientifico, che è quello per cui mi batto da sempre. E che parta dall’osservazione: i medici devono avere il tempo di seguire il paziente, di scegliere i farmaci giusti. In 60 anni di professione, non ho mai legato un paziente ma so usare i farmaci per i casi acuti».
Non tutti lo fanno?
Innanzitutto lo possono fare solo gli psichiatri e non gli psicologi. Che fanno un lavoro utilissimo ma senza la collaborazione con gli psichiatri rischiano di sottovalutare le forme acute, che hanno bisogno di terapie farmacologiche».
Quanto tempo è necessario per capire se un farmaco funziona?
«Almeno 2 o 3 settimane. In molti ambulatori, per via della grande richiesta e delle liste d’attesa -che sono una cosa folle- una visita dura in media 20 minuti. È impossibile fare le giuste valutazioni. E i reparti di Diagnosi e cura hanno al massimo 16 posti letto. Con la richiesta che c’è, il tempo a disposizione non basta neanche a valutare se il farmaco prescritto è quello giusto».