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Vittorino Andreoli e quella «trascendenza» disegnata dentro l'uomo

Fonte: L'Arena di Verona

7 giugno 2025 | Alessandro Galetto

E' in libreria «Il cervello che guarda il cielo» nuovo saggio che affronta il tema della «ricerca del padre eterno»

La trascendenza come bisogno dell'uomo e come capi tolo dell'umanesimo. Non è, come può scoprire il lettore che si avventuri tra le intense, necessarie pagine di «Il cervello che guarda il cielo. Alla ricerca del padre eterno» (Piemme, pp.133, euro 18,90), un «tradimento» quello che Vittorino Andreoli, studioso del cervello e psichiatra di fama intemazionale, compie con il suo ultimo lavoro. Perchè lo scrittore, appassionato indagatore dell'uomo, proprio dall'uomo parte, dalla sua struttura cerebrale, come luogo del pensrero e dell'affettività, per mostrarci che la trascendenza è «disegnata» dentro la sua biologia.

Il cervello che guarda il cieloProfessore, da dove nasce questo capitolo della sua riflessione, dedicato appunto alla trascendenza?
La domanda è pertinente: io mi occupo da .sempre dell'uomo, ne sono afîascinato anche quando compie gesti terribili. Ho scelto di indagare che cosa c'è nella mente: dopo la laurea, ho studiato il cervello in laboratorio, prima di conoscerlo nel teatro dell'esistenza. Ora, ciò che caratterizza I'uomo è la sua fragilità, che è il senso del limite: quel limite che può essere rappresentato dal dolore, dalla morte; la vita stessa è un limite perchè non capiamo il significato del passare dal nulla all'essere.

Fragilità e senso del limite anche come motori che spingono alla ricerca?
La fragilità è una spinta pulsionale a cercare I'altro. L'amore, che è la relazione più profonda, è un'unione di due fragilità. Ma poi c'è anche un altro parametro che è I'immaginazione, che significa desiderio. L'immaginazione è la capacità di pensare ciò che non c'è. E fino a questo punto siamo sempre dentro l'uomo. Dentro I'uomo dove c'è una «disposizione a»: siamo imperfetti e fragili ma i desideri ci portano a immaginare che c'è qualcosa che non lo è. E qui affronto anche il tema dell'invisibile. Che ci sia o no la trascendenza, dentro I'uomo ci sono i segni che I'uomo vorrebbe la trascendenza, il luogo di Dio.

Dunque una sorta di rivoluzione, un'idea, la sua, carica di originalità: Dio non come il creatore del mondo, Dio non come l'architetto supremo, ma una via non razionale, affettiva per il trascendente?
Il Dio di cui ha bisogno I'uomo è quello che si lega alla fragilità dell'uomo, è un Dio di amore. Deus caritas est: questo è il Dio cristiano, un Dio molto umano. Il cristianesimo è l'unica religione che parla di una relazione diretta tra uomo e Dio.

La sua lettura dell'affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina,la Crazione di Adamo, è folgorante in tal senso.
Tra la mano di Dio e la mano dell'uomo c'è quella minima distanza: credere affettivamente nel Dio dell'amore è farne esperienza, cioè colmare quella distanza, arrivare al tocco delle due dita. Tante sono le conversioni celebri, da San Francesco a Manzoni; in tutte si tratta di fare esperienza. Il non credente è colui che non ha avuto questa esperienza, ma se ce I'avesse, crederebbe in un istante.
Cercare significa già immaginare che ciò possa accadere. Il Dio dell'amore è quello che manda suo figlio sulla terra, cioè viene a vedere com'è I'uomo. E il Dio in croce è uomo in tutto, grida: ho sete. Il fulcro per la trascendenza resta dunque I'esperienza, l'incontro con Dio. E non richiede necessariamente il monastero, ma la capacità di isolarsi, per non sentire sempre il rumore del mondo. E per dare spazio al silenzio dell'eterno. Per molti è ancora un'attesa. Per tanti un dono già ricevuto. Per tutti è un bisogno, piantato nel cervello umano.

Per lei, professore?
Beh, quando parlo dell'uomo parlo anche di Vittorino Andreoli. Ho sempre sentito la necessità di mettermi in gioco, e del resto la relazione terapeutica, per la terapia umanizzata della psichiatria, parte da qui. Qui io suggerisco di cercare anche dentro I'uomo per scoprire i segni dell'esistenza di Dio, magari proprio dalla presenza di limiti che Lo richiamano. Per poi alzare lo sguardo nel cielo pieno di stelle. Si tratta di un viaggio dentro la mente umana alla ricerca di Dio, seguendo I'impronta che fa parte dell'uomo. In ogni viaggio ci sono tratti di strada che permettono un cammino semplice, altri in cui ci si ritrova su un sentiero accidentato che richiedono di procedere lentamente e con attenzione e un poco di fatica. Servono anche questi a raggiungere la bellezza di un mondo che sa di eterno: soprattutto in un momento drammatico come quello attuale in cui la trascendenza pare oscurata dai mondi virtuali dell'intelligenza artificiale. Cercare la bellezza di un mondo che sa di etemo ci aiuta a vivere meglio sulla terra.

Una via affettiva per arrivare a Dio:credere significa fare esperienza dell'amore.

Il libro

Alzare gli occhi dall'abisso alle stelle

In che modo la nostra mente è predisposta apensare e ad accogliere I'idea di Dio?
In questo libro I'attenzione è proprio rivolta all'uomo, alla sua struttura cerebrale. Scrive Andreoli: «Mi ha sempre colpito I'immagine che, dell'uomo, ha dato il grande poeta Ungaretti: I'uomo attaccato nel vuoto al suo filo di ragno. Un'immagine tragica che guarda nell'abisso. Ma è tempo di alzare gli occhi e di rivolgere la mente (iI cervello) verso I'alto, verso iI cielo nella certezza che da qualche parte si incontra la trascendenza».