Andreoli e la violenza del nostro tempo «Serve una nuova consapevolezza»

Fonte L'Arena
29 gennaio 2025 | Alessandra Galetto
Lo psichiatra ha pubblicato «L'ira funesta», analisi delle diverse forme di comportamenti contro l'altro e contro se stessi.
Un termine drammaticamente sempre più presente nelle cronache del nostro. tempo. Ma non più sufficiente, da solo, a rendere conto di un fenomeno ben più complesso. Perché sotto la parola «violenza» vengono riunti oggi una serie di comportamenti «contro», contro le persone e le cose, tra loro molto differenti. Ecco allora la necessità di entrare nelle dinamiche che conducono a questi gesti di pericolosità e di distinguere comportamenti che si caratterizzano in modo talora contrapposto sul piano del processo mentale attraverso cui l'atto si manifesta, Nasce proprio da qui, da questa esigenza, il nuovo saggio di Vittorino Andreoli, studioso del cervello e psichiatra di fama internazionale, dal titolo «L'ira funesta» (Solferino, pp.235, euro 17,90), sottotitolo esplicito: «Come frenare la distruttività nel mondo contemporaneo».
Professore, lei distingue in questo suo nuovo studio differenti tipi di quelli che possiamo chiamare «comportamenti contro», individuandone cinque. Evidentemente non tanto (o non soltanto) per un'esigenza di chiarezza linguistica.
Certo l'esigenza non è tanto (o soltanto) quella della chiarezza linguistica, quanto il bisogno di capire e conoscere come si generano le diverse forme di comportamenti contro: questo per rispondere ad un problema di responsabilità, che interessa anche la Giustizia, ma soprattutto quello che interessa qui è capire la natura di questi comportamenti in modo da poterli limitare, diciamo «curare». In questa mia analisi dunque la violenza diventa una delle espressioni di questi comportamenti.
La sua analisi parte dall'ira, appunto l'«ira funesta» che viene raccontata nel primo volume epico della nostra civiltà, lira di Achille narrata nell'Iliade. Oggi l'ira è un po' démodée, forse?
Oggi ira è un termine che si usa molto poco, aveva un significato molto maggiore nel passato, è vero. Per ira intendiamo un comportamento immediato, una risposta fulminea a uno stimolo che ci arriva sgradito, insomma una risposta quasi automatica, quello che chiamiamo raptus e che anche dal punto di vista della Giustizia va distinto: sappiamo che perchè uno sia responsabile e dichiarato colpevole serve la capacità di intendere e volere. Poi c'è la rabbia. Pensiamo a quando siamo in coda in macchina: se uno non parte appena scatta il verde, tutti suonano. Ma anche al lavoro o in famiglia, la rabbia sfocia per un accumulo di malessere, e a un certo punto la frustrazione esplode in modo sproporzionato. E arriviamo quindi alla violenza propriamente detta. Questa è un'azione deliberata con uno scopo da raggiungere. Prendiamo una persona gelosa: la paura che gli venga sottratto l'oggetto d'amore è tale che preferisce eliminarlo; in questo modo, paradossalmente, ha raggiunto il suo scopo. Il quarto comportamento contro è l'aggressività: si tratta di un termine della biologia che indica il rapporto tra preda e predatore, cioè tra specie diverse, serve per raggiungere condizioni di sopravvivenza, insomma un meccanismo necessario alla vita.
E poi c'è la distruttività, quella forma di violenza che viene rivolta anche contro se stessi. Forse la più «attuale» tra le forme di comportamenti contro?
Sicuramente la più attuale. Fino a quindici anni fa non assistevamo a questa forma di violenza non solo contro l'altro ma anche contro se stessi (perché spesso si uccide l'altro e poi si uccide se stessi) che è una sorta di piccola apocalisse, senza alcun vantaggio, senza alcuno scopo preciso per cui non ha mai fine; la distruttività genera altra distruttività perchè non è mai soddisfatta, fino a una deflagrazione totale. E quando parlo di distruttività mi riferisco anche ad una dimensione sociale: la guerra, quella in Ucraina.
Il sottotitolo del suo lavoro, «Come frenare la distruttività», ci fa sperare di trovare in questa pagine anche una sorta di «ricetta», una possibile terapia.
Credo che se consideriamo questo arco di cinque modalità di violenza il libro offre anche l'occasione al lettore per interrogarsi sulla tipologia cui appartiene. La variabile è la quantità, ma tutti siamo coinvolti. E dunque una piccola autoanalisi può aiutarci a capirci e a frenarci, sviluppando una nuova consapevolezza di noi stessi.
Ciascuno primo medico di se stesso?
Ciascuno chiamato ad avere cura di sè e dell'altro, a mettere attenzione e riflessione. Perchè basta, non se ne può più di gente che ricorre sempre al medico, allo psicologo, per qualsiasi cosa. Una sorta di delega all'altro di quella presa di coscienza e di quella consapevolezza che è richiesta a ciascuno di noi, perché senza consapevolezza non c'è cura. Impariamo a guardarci non solo allo specchio, ma anche dentro: consapevoli dei nostri limiti.
Lei è fiducioso o pessimista verso il futuro?
Sono da sempre un pessimista attivo. Vedo i rischi ma non mi fermo. Certo la situazione oggi è molto difficile, e nel libro c'è un'appendice, «Ambiente e comportamento», in cui affronto il tema sociale, l'ambiente come società. Freud ha scoperto la psicologia dell'io, credo che oggi, 125 anni dopo, dobbiamo considerate la psicologia del noi, come ho intitolato il mio studio del 2021: la relazione è fondamento dell'esistenza.