La disciplina del «Bendessere»
Fonte: L'Arena
7 gennaio 2023 | Sivia Allegri
«Si pensa che l'anziano sia preoccupato dalla morte ma non è così, ha voglia di vivere perchè tutto finisce In effetti si tratta di un nuovo capitolo dell'esistenza»
«Mi piace il termine 'vecchio'. Altri termini, come 'terza età', 'longevità', mi sembrano tutti maschere che già implicano la non aceettazio ne del tempo che avanza. La vecchiaia, invece, va vista come è nella realtà, e solo guardandola con attenzione si scoprono le sue infinite potenzialità». È un testo appassionato, carico di emozioni ma in cui le cose vengono chiamate con il loro nome, e che offre una prospettiva inaspettata su tanti aspetti della nostra esistenza visti ancora come un grande tabù, la Lettera a un vecchio da parte di un vecchio (Solferino, 2023) di Vittorino Andreoli, in uscita il prossimo 10 gennaio. Dopo la Storia del dolore del 2022, un'intensa riflessione scaturita all'indomani della pandemia, lo psichiatra di fama internazionale, già direttore del dipartimento di Psichiatria di Verona Soave, membro della New York Academy of Sciences, affronta nel suo nuovo libro il tema della vecchiaia. E ci racconta l'inunenso valore di una stagione della vita spesso demonizzata, svelandone l'intrinseca bellezza.
Professore, nel prologo lei scrive: Sono un vecchio, contento di esserlo, e con la speranza di continuare a esserlo ancora per un lungo tempo.
Le confesso che in molti mi criticano perché dico che ho 83 anni. Sono nato nel 1940, quindi dovrei dire che, ancora per qualche mese, ne ho 82. E mi credono malato per questo, si meravigliano. Trovo incredibile dover osservare, con dispiacere, come la vecchiaia non venga affatto capita. È un nuovo capitolo dell'esistenza, e io amo paragonarla all'ultimo capitolo di un libro. Non si tratta del più interessante, quando il libro è buono e ben fatto?
Ci sono quindi molte potenzialità nella vecchiaia che secondo lei non sono ancora state scoperte.
Certo, a partire dalla più importante: il vecchio ha voglia di vivere. Ma anche di avere un senso, di rendersi utile in un'età in cui non si è più egocentrati, in preda al delirio dell'io. Il vecchio è più disposto a raccontarsi, ad ascoltae, ma anche a dire che cosa sarebbe bene fare. E siamo sicuri che non guarda al proprio interesse. La saggezza del vecchio, già decantata dai classici, consiste nel dare alla vita un significato più ricco rispetto a elementi di gran poco valore, compresi il denaro e il successo. Il vecchio conosce per esempio l'importanza del donarsi, del perdonare invece di lottare.
Eppure non siamo abituati a questa prospettiva, e le spiego perché: il vecchio di oggi fa parte della prima generazione che ha raggiunto un'età ragguardevole, traguardi che una volta costituivano casi sporadici. E se un tempo un ottantenne era considerato un Matusalemme, adesso il 22 per cento della popolazione è costituita da vecchi. Siamo una forza.
Eppure per tanti la vecchiaia è qualcosa che spaventa.
Sono lontani i tempi di Seneca, che scriveva: senectus ispa morbus, la vecchiaia è per sé stessa già una malattia. Ci siamo dimenticati le malattie dell'infanzia, dell'adolescenza, dell'età adulta? Non esiste solo l'Alzheimer, e nel secondo dopoguerra l'età in cui si correvano maggiori rischi, per le malattie infettive, era la fanciullezza. Mi creda, siamo arrivati all'esaltazione della giovinezza come se fosse il Paradiso terrestre. Ma secondo lei i giovani vivono poi così bene?
Perché allora spesso non si accettano gli anni che passano?
Ho deciso di scrivere ai vecchi proprio perché molti di loro sono purtroppo malati di giovanilismo. E volendo nascondere la loro età diventano patetici, ridicoli. Si mettono i blue jeans, vanno a fare ginnastica in modo maniacale, utilizzano giornate intere per rafforzare i muscoli. Sono quelli che si offendono pure, se chiedi loro quanti anni hanno. Non dovresti chiedermi l'età, mi sono sentito rispondere a volte. Ho un collega che mi racconta cose inaudite: vanno da lui molti vecchi per togliere un neo, per paura che la nipotina non li voglia abbracciare, o per eliminare le rughe, perché si accorgono che i ragazzi sono colpiti nel vederle.
II suo, quindi, è un invito a riscoprire questa età con maggiore consapevolezza.
I primi a riscoprirlo dovrebbero essere proprio i vecchi, per questo mi rivolgo a loro. Dovemmo far capire chi siamo, cosa potremmo dare a una società confusa che ha perso ogni riferimento. Noi vecchi siamo fuori dai giochi di potere, e quindi abbiamo la possibilità di vedere il tempo presente fuori dalla lotta, fuori dagli atteggiamenti imperativi. I giovani non possono avere questa visione, per questo è importante che possano parlare con i vecchi, sentire una storia diversa, imparare a valutare degli aspetti che magari potrebbero sfuggire loro.
A questo proposito lei parla di «bendessere».
Si pensa che il vecchio sia preoccupato della morte. Non è così. Il vecchio piuttosto ha voglia di vivere, proprio perché il capitolo finisce, e tutto muore: la morte fa parte dell'esistenza. Ovvio che non ci si vuole ammalare, ma c'è di più: si vuole il bene di essere, l'essere-bene. Mentre la medicina toglie il male, la disciplina del bendessere promuove il bene. E se ci pensa questa è la visione opposta della medesima questione. Personalmente io la odio, la morte. Ecco perché bisogna guardare al vecchio come a colui che vuole l'essere-bene, e lo raggiunge con la gioia di vivere e aiutando gli altri. In questo modo il bene vince sul male poiché, tra le tante modalità su come un vecchio vive la malattia., vi è anche quella di continuare la vita, con forza e determinazione.