CHE SEXY LE VECCHIE

Fonte: F

31 gennaio 2023 |  Anna Tagliacarne

«Andando avanti negli anni, le donne restano bellissime e desiderabili per noi, loro coetanei: chi insegue le giovani è un disperato che ha paura di crepare». Parola di Vittorino Andreoli, illustre psichiatra al traguardo degli 83, che in un libro invita a vivere la vecchiaia come un privilegio: «Abbiamo tanto da dare»

«SONO UN VECCHIO, CONTENTO DI ESSERLO, e con la speranza di continuare a esserlo ancora per un lungo tempo». Inizia così l’ultimo libro di Vittorino Andreoli, psichiatra di fama internazionale, scrittore prolifico, 83 anni tra pochi mesi, portati con una vitalità che molti ventenni gli invidiano: ha scritto Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio) per raccontare perché l’ultimo capitolo della vita è in realtà il migliore di tutti.

Professor Andreoli, perché così entusiasta d’essere vecchio?
Ma perché la vecchiaia è un capitolo nuovo dell’esistenza! Esserci è un dono ed è la prima volta che la nostra specie, Homo Sapiens, ha un’aspettativa di vita media così lunga: 83-84 anni per l’uomo, e 85 per le donne. Nella storia dell’antropologia siamo la prima generazione a vivere un tempo così lungo. Fino al secondo dopoguerra, l’attesa di vita in occidente arrivava ai cinquant’anni, e se guardiamo le foto delle nostre nonne e nonni vediamo come a quaranta fossero già vecchi. È questo che mi entusiasma: è tutto nuovo, tranne la percezione di “vecchio”, perché quando si dice vecchio si pensa sempre a Matusalemme.

E invece?
E invece siamo il 22 per cento della popolazione, la vecchiaia inizia a 65 anni e finisce quando leviamo il disturbo. Non si può pensare che siamo un peso e siamo lì ad aspettare la morte, alla quale non pensiamo proprio, perché vogliamo vivere, vogliamo essere considerati, vogliamo avere un ruolo, con le nostre fragilità e con la nostra esperienza, ma soprattutto con la nostra voglia di dare affetto e di esprimere sentimenti, con il nostro desiderio di socialità, che non cala invecchiando. Il cervello umano è formato da due parti, una razionale e una emotiva, dove nascono e vivono i sentimenti, gli affetti, le passioni. Noi siamo nel mondo degli affetti, non in quello dei consumi, perché non dobbiamo fare carriera, non timbriamo il cartellino, non siamo denaro-dipendenti, siamo più liberi. Eppure in una società fondata sui soldi com’è la nostra, com’è possibile non considerare quanti servizi gratuiti potrebbero essere assegnati ai vecchi che hanno solo voglia di vivere?

Sembra invece che il conflitto tra generazioni sia sempre più aspro.
Pensiamo alla sciocchezza che si sente ripetere sulle pensioni che se vanno ai vecchi non andranno ai giovani. Chi ha messo in giro questa falsità dovrebbe venire a farsi curare da me, ma invece se ne guarda bene dal frequentare gli psichiatri. E poi perché quando si parla di vecchi si parla solo di malattie? Chi vuole trasformarci in un peso per la società dimentica che noi vecchi vogliamo bene ai giovani, e vorremmo essere utili. Abbiamo tanto da dare, tanti desideri e nessun obbligo, e proprio per questo l’ultimo capitolo è il più bello di tutta la vita.

E a un giovane cosa direbbe?
Che non vogliamo insegnare a figli e nipoti come si vive. È importante dire che vogliamo bene, non sottolineare se qualcuno ha sbagliato e se qualcuno ha torto e qualcun altro ha ragione. Quello che conta è saper sempre accogliere – anche provando dolore – le persone che amiamo, dicendo quello che proviamo.

È l’amore la chiave di tutto?
Ma certo. Con gli anni gli organi possono perdere vigore, ma non la passione, che è un modo di sentire, di ricordare l’esperienza passata, e arricchirla del desiderio di riprovarla: un abbraccio, una carezza sono gesti d’amore, come lo sono il tenersi la mano, il bacio, le parole affettuose e qualsiasi altro gioco che riporti all’eros, anche se non giunge alla sessualità. Non dimentichiamo mai che è impossibile separare l’amore dal desiderio. È il desiderio dell’incontro che attiva le emozioni.

Diventare vecchi o diventare vecchie: c’è differenza?
Nessuna. Pensi alla disponibilità e alla pazienza, alla dolcezza e alla gentilezza di una donna anziana che magari sa ricamare un bellissimo fiore su un pezzo di tela. Pensi al pudore di una vecchia che diventa persino eccitante: le donne andando avanti negli anni sono bellissime e i settimanali femminili dovrebbero scrivere di loro, che riscoprono quella vergogna che non esiste nelle donne giovani, concentrate come sono solo sull’eros d’organo. Ma l’eros, lo abbiamo appena detto, non è fatto solo dall’oggetto, sono i “giovanilisti” che la pensano così, persone che negano la vecchiaia perché la vedono come l’anticamera della morte, e credendo di non appartenere alla categoria dei vecchi indossano i jeans, ma con la conchiglia per nascondere che là sotto non c’è più niente.

Lei descrive il “giovanilismo” come una patologia, perché?
Perché chi ne soffre muore pensando di non essere stato vecchio, impomatato di creme antirughe, con i capelli trapiantati, depositi di silicone in faccia e in tasca un tubetto di pillole per un eros disperato. Forse noi vecchi dovremmo metterci con donne di 25 anni? Sono i “giovanilisti” che lo fanno, uomini che dominano le donne con il denaro e con il potere per nascondere la paura di crepare. Loro sì che hanno paura di morire, non i vecchi, ed è per questo che ho voluto presentare la vecchiaia – che va chiamata con il suo nome, e non longevità o terza età – per come è, con le metamorfosi che porta e che formano una nuova identità, non come declino dell'essere vivente.