L’IDEA DI VECCHIAIA DI VITTORINO ANDREOLI

Fonte: leccecronaca.it

10 aprile 2010 | Raffaele Polo

È un testo destinato, chiaramente, ai meno giovani; a coloro, per intenderci, che prendono coscienza, giorno dopo giorno, di essere nella parte finale della propria esistenza. Che può durare anche venti, trenta anni. Ma costringe a ‘fare i conti’ con una nuova, impellente realtà: la vecchiaia.

Vittorino Andreoli, psichiatra di fama mondiale, dopo i suoi popolari ‘Le nostre paure’, ‘Il denaro in testa’ , ‘Homo stupidus stupidus’ e ‘L’uomo col cervello in tasca’, tutti titoli di scritti dedicati alla quotidiana, difficile esistenza contemporanea della maggioranza delle persone ‘civili’, pubblica ‘Una certa età’, con sottotitolo esplicativo di ‘Per una nuova idea della vecchiaia’, edito da Solferino (euro 17).

E’ un libro molto interessante che, come è tradizione del bravo Andreoli, affianca alle disquisizioni mediche la materia pratica, suggerendo interpretazioni e soluzioni semplici, comprensibili e condivisibili da tutti.

Ad esempio, per i pensionati che si lamentano perché non ricordano qualcosa e già paventano decadimento e altri malanni, ecco la convincente constatazione che l’autore ci fa, a pagina 73:

“Facendo riferimento alla ‘pensione’, se essa comporta un cambiamento notevole sul piano dell’attività, perché dovrebbe continuare a funzionare una memoria adatta all’esigenza di quel lavoro, ora che è cessato? La dimenticanza ha un significato ‘economico’ per l’energia mentale e permette di usarla al meglio per rispondere alle nuove esigenze, a ricordi lontani e a ricostruzioni del passato. Abbiamo già detto quanta energia consumi il cervello, e ogni risparmio funzionale si presenta come un’energia disponibile per funzioni differenti.”

Concetti semplici, eppure importanti. Proprio quello che ci aspettiamo da un vecchio saggio che ci parla delle sue esperienze, delle sue verifiche.

Una certa etaIn un mondo dove l’uomo crede di avere in mano il suo destino, corriamo un grande rischio: non ammettere che il filo rosso dell’esistenza si possa indebolire e spezzare e non comprendere gli aspetti positivi di ogni trasformazione a partire dalla bellezza di invecchiare.

Vittorino Andreoli ci racconta la vecchiaia come capitolo originale dell’esistenza e non come un’età ‘malata’. Chi ha ‘danzato a lungo col tempo’ ha maggiore capacità di sperimentare la gioia e considerare il piacere. Talvolta è sufficiente un sorriso, un nipote che si mostra interessato ad ascoltare, l’affiorare di un sentimento puro. Il piacere si lega alla tenerezza, a una nuova intimità, alla lentezza di un gioco che impegna tutto il corpo e che si fa sempre più creativo, slegato com’è dai modelli della cosiddetta ‘vita attiva’.

Siamo passati dalle generazioni biologiche a quelle psicologiche e, infine, a quelle digitali, che hanno ribaltato i rapporti fra giovani e vecchi, mettendo in crisi l’idea di saggezza e autorevolezza. Ma è solo recuperando il ruolo cruciale dell’ultima età che possiamo iniziare a riparare la società in cui viviamo, sostituendo ai concetti meccanici di salute e malattia una nuova dimensione del benessere.

Scandito in sei consistenti capitoli, il libro si apre con ‘Il tempo che passa’, per poi esaminare l”Anatomia della vecchiaia’ e i ‘Rischi di psicopatologia dell’anziano’. Si parla poi di ‘Differenze di genere’, ‘La longevità’ e ‘La disciplina del benessere e la vecchiaia’.

Una lettura completa, interessante, esaustiva che può essere riassunta con un concetto fondamentale: ‘Dobbiamo guardare alla vecchiaia superando i concetti di salute e malattia, ripartendo dalla forza e dalla saggezza dell’ultima età per ricostruire il legame tra le generazioni’.

Un messaggio di grande forza, ottimistico e che ci sentiamo di condividere pienamente.