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Fragile

Fonte: readandthecity

3 giugno 2015  |  Maria Rosa Ventura

Nel 1870 Cesare Lombroso, medico, antropologo e criminologo sostenne le teoria della fisiognomia criminale che si basava sul concetto del criminale per nascita, secondo cui l’origine del comportamento criminale era insita nelle caratteristiche anatomiche dell’uomo, in un’anomalia fisica del cranio; esattamente

in una fossetta situata nell’occipite, che ne determinava il comportamento socialmente deviante. Di conseguenza, secondo lui, l’inclinazione al crimine era una patologia ereditaria, persino riconoscibile dai tratti somatici del viso.

Solo nell’ultima parte della sua vita Lombroso prese in considerazione anche i fattori ambientali, educativi e sociali come concorrenti a quelli fisici nella determinazione del comportamento criminale, ma nel frattempo aveva già aperto e sezionato centinaia di crani per dimostrare la sua tesi.

Vittorino Andreoli, classe 1940, veronese, autorevole psichiatra e autore di molti libri in cui parla della malattia, della pazzia, collegata ad ambiti sociali, all’antropologia, fino all’arte, ha scritto anche libri di poesia e letteratura.

In opposizione alla tesi lombrosiana, Andreoli sostiene la compatibilità della normalità con gli omicidi più efferati e sostiene che l’ambiente contribuisce a strutturare la biologia della follia insieme all’eredità genetica. Andreoli, che ha seguito molti dei casi tristementi noti di omicidi, commessi da persone dalla vita in apparenza irriprensibile, ha detto.” I miei matti non farebbero mai queste cose. Rassegnatevi, il mostro è in mezzo a noi!”

Da sempre mi sono interessata alle deviazioni dell’animo umano – tanto da scriverci un libro – ho sempre pensato che ogni essere umano abbia in sè una parte buona e una parte cattiva – la parte del bene ha la sua parte corrispondente di male, è nel ordine delle cose.

La nostra parte cattiva resta latente dentro di noi, nella maggior parte dei casi, ma quando l’essere umano soffoca dentro di sé, troppo a lungo, sentimenti negativi come le delusioni, la frustrazioni e la solitudine, consente alla parte scura dentro di noi di uscire allo scoperto; perchè la alimenta.

Quando questa parte cattiva prende il soppravvento fa fare cose terribili.

Siamo essere perfetti nella nostra totale imperfezione. Fa paura? Sì, certo che sì. Ma se conosciamo e rispettiamo la nostra parte fragile possiamo rispettare anche di più noi stessi e i nostri limiti

L’ uomo di vetro pubblicato nel 2008, da Vittorino Andreoli è un libro scritto con impeto e passione che lo rende per certi versi difficile da leggere, ma bellissimo, puro e sincero. Parla di paura, di amore, di compassione.

Andreoli parla della fragilità umana, la parte debole di noi che fa paura, da non mostrare, da nascondere, in un’accezione diversa e positiva: fragilità come forza, quasi un incomprensibile ossimoro che racchiude la nostra unicità: noi siamo umanamente fragili, questa è anche la nostra bellezza.

La stessa fragilità che ha consentito all’autore di aiutare i suoi pazzi, di comprendere la loro debolezza perché ha compreso la propria.

“In un’epoca che ha fatto del decisionismo e dell’arroganza delle virtù, sostenere che la fragilità è un valore umano potrebbe suonare come un’eresia. Qualsiasi studioso del comportamento animale potrebbe spiegarvi quanto sia indispensabile la paura per la sopravvivenza, ma ammetterebbe solo controvoglia che quella regola vale anche per noi. Eppure ogni giorno i piccoli passi e le grandi svolte della nostra vita ci insegnano che non sono affatto le dimostrazioni di forza a farci crescere, ma le nostre mille fragilità: tracce sincere della nostra umanità, che di volta in volta ci aiutano nell’affrontare le difficoltà, nel rispondere alle esigenze degli altri con partecipazione, aprendoci – quando serve – al loro dolore.”