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La gioia di vivere di Vittorino Andreoli

Fonte: sololibri.net

18 agosto 2016 | Giovanna Giraudi

Rizzoli, 2016 - Una guida a piccoli passi verso la saggezza che riconosce l’origine della gioia di vivere nel ‘noi’: la condivisione di cui è capace chi non insegue obiettivi e risultati sempre più alti, di chi sa praticare la fragilità, l’onestà, l’appartenenza.

Di fronte a un medesimo episodio, sia esso positivo che negativo, si osservano reazioni molto diverse. E ciascuno di noi si interroga sul perché una persona si dia una risposta di malessere, mentre un’altra invece viva quella stessa esperienza in maniera opposta”

Questo è l’incipit de “La gioia di vivere” di Vittorino Andreoli , uno fra i migliori , più conosciuti e stimati psichiatri italiani.
Ma cos’è la vera “gioia di vivere” secondo l’esperto psichiatra? Andreoli parte dal concetto di sofferenza per giungere alla spiegazione della gioia. Considera la prima una fra le manifestazioni più umane, una fra le esperienze più toccanti di qualunque esistenza e poi va agli antipodi, al concetto di felicità. Tutti aneliamo ad essa ma questo è il nostro errore: la felicità è qualcosa di elettrizzante ma di effimero, di assai breve. Si può esser felici quando ci si sposa, ci si laurea, si vince alla lotteria ma tutto ciò ha breve durata e non muta la nostra visione del mondo come anche il nostro percepire l’intera esistenza. Certo, un po’ di felicità aiuta, ma non risolve tutti i problemi, non cambia la nostra Weltanschauung, la visione che abbiamo del mondo.

Per Vittorino Andreoli vivere il meglio dell’esistenza è possibile ma bisogna capire e fare esperienza. Tutti possono riuscirci, perfino nei momenti non facili.
I nostri comportamenti sono determinati da tre elementi: il primo si lega alla struttura fisica di ognuno, il secondo alle esperienze, a tutto ciò che è passato e in qualche modo condiziona il nostro presente e, per ultimo, all’ambiente ove l’esistenza ha luogo. Verso essa, appunto, si può avere un duplice atteggiamento, positivo o negativo esso sia. Il tutto si lega alla ricerca di un maggior benessere che noi confondiamo con anelito di felicità.
Essa però, per l’autore, ha radici egoistiche, parte dall’io mentre “la gioia nasce dal noi”. La gioia di vivere è assai diversa, parte dalla condivisione, dall’amore per gli altri, dal dono. La gioia lega, unisce e, quel che meraviglia, non è dei potenti. Il mondo si è fatto troppo complesso, la realtà è una continua strada in salita e non c’è tempo per fermarsi a riflettere e guardare intorno a noi. Più si ha, più ci si preoccupa di aumentare la quantità materiale di benessere e ciò turba e toglie la serenità.
Di chi è allora la vera joie de vivre? Dei “Nessuno”, di coloro che contano poco nella società, che non assumono ruoli di rilievo ma che, in virtù della mancanza di preoccupazione dell’ottenere, hanno la capacità di vedere la bellezza delle piccole cose, di agire con onestà e con amore verso gli altri.
La letteratura stessa, come scrive l’autore, è piena di esempi di joie de vivre: basta leggere brani del “De tranquillitate animi” di Seneca, maestro di vita, de “L’arte di esser felici” di Schopenhauer, un libro

“a prima vista paradossale perché nessuno andrebbe a lezione di felicità da un maestro di pessimismo”

de “La joie de vivre” di Zola i cui protagonisti incarnano perfettamente le due diverse Weltanschauung: Pauline è “la gioia di vivere” e Lazare “la fatica di vivere”. I due giovani non hanno ancora grandi esperienze ma il loro differente approcciarsi alla realtà indica che le visioni del mondo non sono principalmente conseguenza di fatti bensì anche concezioni precoci. Culmine degli esempi letterari è “La città della gioia” di Dominique Lapierre, una vicenda ambientata nella più povera Calcutta, un libro intenso, fatto contemporaneamente di letizia e sofferenza, così toccante che è difficile commentare.

Soprattutto al giorno d’oggi non è facile cambiare ma è necessario, indispensabile per vivere meglio. Par proprio si debba far passi indietro nel tempo perché quello in cui viviamo ora è come una folle corsa in autostrada in cui si deve sempre sorpassare l’altro, in cui si deve arrivare presto, più presto non godendo però del percorso. Certo la crisi, le difficoltà odierne non aiutano ma neppure lo fanno i cambiamenti troppo repentini perché ci impediscono di guardare intorno a noi, di assaporare quel che abbiamo, anche se poco, di sorridere a chi ci è vicino.
Per Vittorino Andreoli, quindi, la soluzione alla fatica di vivere non è così impossibile ma non è neppure facile. È arduo superare sensazioni di sfiducia e guardare il mondo con occhi diversi, pensando solo al presente, non rimuginando sul passato e non sprecando energie preoccupandosi del futuro che è comunque sempre un’incognita.
“Fragilità, onestà, appartenenza” ecco le parole chiave che non possiamo lasciar da parte: la fragilità non è un male, anzi ci avvicina agli altri, fa da collante, l’onestà permette di guardarsi come si è e non si coniuga né con la parola narcisismo né con egoismo; l’appartenenza infine è soprattutto condivisione di idee, di legami, di sentimenti. Il tutto, come si vede, è basato sul “noi” e ciò fa tanto riflettere. Vittorino Andreoli che si definisce “un tragico”, sia perché sente in sé la fatica di vivere, sia per il lavoro che da più di cinquant’anni porta avanti, ci dà, in maniera profonda, esaustiva e competente, una splendida lezione di vita. Sta a noi farne tesoro confessando che non è assolutamente così facile ritrovare quella speranza e quella fiducia oggi più rare d’un tempo ma ancor più necessarie a superare la fatica di vivere. “La gioia di vivere” non ci lascia insensibili, tutt’altro: tocca i nostri animi e lo fa con la levità e la dolcezza con cui Andreoli si avvicina ogni giorno a tante persone che soffrono.