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In un libro i tredici punti di vista su Gesù

In un libro i tredici punti di vista su Gesù

Fonte: paroladivita.org

30 maggio 2016 | Marco Testi

Vittorino Andreoli affronta la questione dell’interpretazione della figura di Cristo nei secoli.

“Gandhi ama in particolare il Discorso della montagna e lo ripete molte volte, un riferimento costante ‘fu questo discorso che mi fece amare Gesù’ ”.
Vittorino Andreoli è ormai personaggio mediatico, oltre che conoscitore dei meandri della mente umana, e nutre una particolare attenzione per la dimensione religiosa. Questo “Tredici Gesù” (Piemme, 246 pagine), il più recente dei suoi studi a riguardo, affronta –ma, e questa è la vera sorpresa, non dal punto di vista psicologico – i punti di vista attraverso i quali è stata analizzata la figura del Cristo. Ve ne sono ovviamente moltissimi, ma, a voler proprio semplificare il discorso, li potremmo ridurre a quello razionale, quello storico, quello teologico, quello della fede pura e semplice. Anche se quell’accenno a Gandhi che abbiamo citato in apertura ci riporta con i piedi per terra e ci fa capire quanto siano davvero limitative le semplificazioni. Gandhi infatti rappresenta un altro punto di vista su Gesù, quello certamente spirituale ma radicato in una altra fede (in questo caso l’induismo). La grande guida spirituale indù confessò apertamente che anche se Cristo non fosse mai esistito questo non avrebbe minimamente pesato sulla sua ammirazione per il grande Discorso della montagna: quel discorso segna uno dei punti più alti della spiritualità. La storicità di Cristo, scrive Andreoli, è stata negata, oppure accettata nel senso che egli fu semplicemente un uomo, magari un profeta. Oppure ritenuta una realtà, resa problematica dalla distanza temporale e dalla sostanziale mancanza di documenti e reperti, il che non impedisce considerazioni a favore della sua appartenenza ad una dimensione non umana: è il caso di un personaggio assai importante come Albert Schweitzer (che passò tutta la vita al servizio del poveri in Africa, insignito nel 1953 del Nobel per la pace). Per lui il Cristo non è stato compreso semplicemente perché egli era “altro”, rappresentava un enigma irrisolvibile; in qualche modo la sua semplice presenza era un qualcosa di “oltre” che, mette in guardia il “dottor” Schweitzer in un suo studio del 1902 dal titolo “Vita di Gesù”, non è possibile sondare con gli strumenti della ragione.
All’opposto del filosofo Hegel, che in un’opera dallo stesso titolo, ma scritta nel 1795, proponeva la figura di Cristo come incarnazione della “eterna legge della moralità”, all’interno del progressivo processo di razionalizzazione del cammino dell’uomo. In poche parole, Gesù sarebbe stato colui che ha svelato e indicato come strada da seguire la necessità razionale insita nell’uomo, che è quella della rettitudine e dell’amore.
Quando Andreoli passa ad affrontare il “Gesù di Nazaret” del pontefice emerito Joseph Ratzinger, che uscì nel 2007, si vede subito il rischio dell’incomprensione del punto di partenza di quel libro. Difetto del quale sarebbe non aver sottolineato la “rottura nei confronti dei sadducei, degli scribi e dei farisei”. In realtà il messaggio del Cristo va un po’ più in là della categorie di continuità e rottura. Voler a tutti i costi sottolineare una frattura completa con l’ebraismo, significa passare sopra le mediazioni, le incomprensioni, le differenze, le contiguità, in poche parole il complesso rapporto che lega Gesù alla tradizione ebraica e al suo tempo.
Ovviamente non poteva mancare un capitolo dedicato alla monumentale – cinque volumi e quattromila pagine – “Un ebreo marginale” dello statunitense John Paul Meier, che vede il Cristo come “un ebreo al confine della sua stessa identità”. Meier mette in rilievo la assoluta complessità di una figura avvolta in una dimensione “che sfugge completamente all’analisi storica in cui non è pensabile analizzare un Dio”.
E qui torniamo all’inizio: quando si ha a che fare con la sfera della fede, è un po’ rischioso azzardare analisi tutte imperniate su un solo elemento: quello storico, ad esempio, o quello filologico, poiché il discorso tocca corde profonde e non passibili di una completa analisi scientifica, visto che la scienza, da tempo, ha confessato la sua impossibilità a spiegare tutto.