Viaggio nell’universo della coscienza
Fonte: La Stampa
04/10/2021 | Piero Bianucci
Vittorino Andreoli ci accompagna nella sua teoria della mente consapevole mettendo in fila decenni di osservazioni psicologiche, psichiatriche, etologiche e antropologiche. Un libro che, narrando una ricerca in progress, non ha conclusione ma esige il proseguimento dell’indagine. I saggi di Christof Koch e Patricia Churchland: una lettura parallela
Che cosa sia la coscienza è il grande problema che le neuroscienze affrontano in questi anni, e probabilmente sarà l’impresa del secolo. Due modalità di indagine hanno fatto sperare in una soluzione a portata di mano. La prima è l’osservazione dell’attività cerebrale in diretta con strumenti come la risonanza magnetica funzionale, la tomografia a emissione di positroni e nuove tecniche di elettroencefalografia applicate a soggetti non patologici in situazioni quotidiane (lavoro, lettura, ascolto di musica…). L’altra è lo studio del cervello a livello molecolare, cioè visto attraverso lo scambio di messaggi elettrochimici tra i contatti sinaptici dei neuroni, fino al limite estremo, dove forse entra nel gioco la meccanica quantistica.
La terza via
Entrambi gli attacchi al problema sono interessanti, ma che fossero risolutivi era una illusione. Si avanza a grandi passi ma il traguardo nella stessa misura si allontana rivelando sempre nuove complessità. Vittorino Andreoli, psichiatra illustre, nel libro “L’origine della coscienza” (280 pagine, 16,50 euro), che inaugura la nuova collana delle edizioni Solferino “Le scienze dell’uomo”, affronta il tema della coscienza in chiave di osservazione fenomenologica e, per così dire, autobiografica (nel senso che Andreoli si osserva e si racconta come un soggetto-oggetto sperimentale). Il risultato di questa “terza via” (per citare un antico saggio dello stesso autore) è una “teoria della coscienza” fondata sui suoi “correlati”, parola che, detto in modo grossolano, indica i contenuti della coscienza (sensazioni, percezione dell’ambiente e del tempo, esperienze consce e inconsce, sogni, capacità di immaginare, suggestioni spirituali e così via).
Da Cambridge alla Nasa
Dopo la laurea in Medicina all’Università di Padova e prima di passare alla psichiatria clinica, Vittorino Andreoli ha dedicato dieci anni alla ricerca di laboratorio. Era l’epoca in cui si incominciava a esplorare la chimica del cervello a livello molecolare. Le amfetamine e il neurotrasmettitore serotonina furono le molecole che attrassero Andreoli, ed esse ricambiarono le sue attenzioni concedendogli scoperte di notevole rilievo scientifico, perseguite prendendo il dottorato in farmacologia all’Università di Milano e poi trasferendosi a Cambridge in Inghilterra, a Harvard negli Stati Uniti e anche, per un breve periodo, in un laboratorio della Nasa, quando ad Alamogordo, New Mexico, si progettava di testare il viaggio verso la Luna su scimpanzé-astronauti.
Sguardo sintetico
Lo studio molecolare dei meccanismi cerebrali è fondamentale, ma è tipico del metodo di ricerca riduzionistico, che approfondisce aspetti estremamente settoriali trascurando una visione più panoramica dei fattori in azione. Andreoli recuperò lo sguardo sintetico sull’uomo intero e non solo su neuroni e molecole dirigendo fino al 1999 il Dipartimento di psichiatria dei Servizi sanitari pubblici di Verona. Da allora è un libero professionista a largo raggio di interessi e scrittore di successo.
Finale aperto
Ma questo è un libro strano, singolare, un “hapax” dell’editoria. Non ha incipit e non ha conclusione. Non ha neppure un indice vero e proprio: soltanto l’elenco dei temi trattati in brevi capitoli che si susseguono non in maniera sistematica ma piuttosto per associazioni mentali o determinate da esperienze estemporanee. Il sistema emerge a libro chiuso, quando i tasselli vanno insieme, e allora anche gli spazi del mosaico rimasti vuoti acquistano significato, anzi diventano i più significativi perché suggeriscono itinerari di ricerca ancora da esplorare. Insomma, “L’origine della coscienza” è un “diario” di osservazioni sul tema, e quindi disegna una teoria in progress. Dove “teoria” non deve far pensare a schemi astratti. A mo’ di viatico il libro si apre su una frase del filosofo Dario Antiseri, che a sua volta l’ha tratta dal celebre psicologo della Gestalt Kurt Lewin: “Nulla è più concreto di una buona teoria”.
Alla base c’è la memoria
Andreoli muove dal dato necessario ma non sufficiente perché si sviluppi una coscienza: la memoria. Esistono innumerevoli livelli di memoria, da quella più elementare documentata sperimentalmente nella Aplysia californica, la lumaca di mare studiata da Eric Kandel (che ne ricavò il Nobel), alla complessa e stratificata memoria umana. La coscienza esordisce con l’accendersi dell’attenzione, la quale si evolve poi in vigilanza, concentrazione, valutazione, accoglienza, rifiuto, scelta, dialettica tra ragione e emozione, pulsioni e etica etc. Andreoli giunge a elencare almeno 25 livelli della coscienza di sé e della propria “ombra” nel senso analitico (junghiano) della parola. Tutto ciò in una cornice solidamente darwiniana: la coscienza nelle sue varie manifestazioni, è vista come un vantaggio adattativo premiato dall’evoluzione. Etologia e antropologia, due scienze “darwiniane, supportano Andreoli in un esercizio di comparazione tra discipline.
Il “Sentirsi vivi” di Christof Koch
Spero che di essere riuscito a comunicare che “L’origine della coscienza” è un libro che non finisce ma chiede di essere continuato, dall’autore ma anche dal lettore, ognuno alla ricerca dei propri “correlati”.
E’ interessante notare quanto attuale sia il tema della ricerca sulla coscienza anche alla luce degli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale. E’ appena uscito da Raffaello Cortina “Sentirsi vivi” di Christof Koch, neuroscienziato già collaboratore del Nobel Francis Crick (co-scopritore della doppia elica del DNA), per 27 anni professore al Caltech e ora direttore scientifico dell’Allen Institute for Brain Science di Seattle. Per Christof Koch “sentirsi vivi” è il grado zero della coscienza. Partendo da questo “minino sindacale” Koch sviluppa la Teoria dell’Informazione Integrata, tramite la quale individua le proprietà dei “correlati” già incontrati nel testo di Andreoli. Koch e Andreoli hanno vari punti convergenza. Uno riguarda la convinzione che la coscienza non potrà mai diventare una prerogativa delle macchine, neppure le più “intelligenti”. Perché le macchine non hanno corporeità, e non esistono nella dimensione tempo in quanto memorizzano (molto meglio di noi) ma non ricordano.
Macchine che decidono
Ciò non impedisce, fa notare Andreoli, che l’uomo deleghi alle macchine alcune decisioni, e fa l’esempio “storico” della responsabilità nella manovra di un aereo in emergenza estrema: lasciare le decisioni ai piloti o al pilota automatico? “Tutte le compagnie aeree – ricorda Andreoli – hanno scelto di attivare la decisione che si lega alla lettura dei big data e non a quella del comandante, che è inevitabilmente preso dalle emozioni, dal senso di responsabilità, dal timore non solo della morte dei passeggeri ma della propria”.
L’etica secondo Patricia Churchland
Ci troviamo qui di fronte all’emergere dell’etica dalla coscienza, con le infinite sfumature che contraddistinguono la casistica morale. Ne parla in modo affascinante Patricia Churchland, neuro-filosofa, emerita dell’Università della California a San Diego, in “Coscienza. Le origini dell’intuizione morale” (Ponte alle grazie, 277 pagine, 20 euro). La “voce interiore” che detta la morale rimanda a correlati di secondo grado, cioè a meta-correlati? C’è un a-priori etico? Su queto tema Andreoli ha una opinione netta, ancorata alla società: “Non ho mai creduto a una morale ‘dentro di noi’ alla maniera di Kant, ma sempre a regole apprese che finiscono per fissarsi. E non sul piano del gusto o del mi piace, ma dei divieti e delle punizioni”.