Il cerchio della vita: la nascita
Fonte: giannellachannel.info
25 agoso 2017 | Salvatore Giannella
La nascita nelle culture del mondo
di Vittorino Andreoli
Caro Salvatore,
c’è una nascita biologica e quella sociale. La prima (nei mammiferi, e quindi anche nell’uomo), avviene per lenta espulsione del feto dall’utero materno. Egli esce attraverso questa finestra sul mondo: sporge solitamente prima con la testa, poi butta fuori un braccio quasi per salutare il nuovo mondo, poi l’altro, e li muove insieme in un abbraccio. Con sempre maggiore velocità fa poi capolino il resto del corpo, fino a quelle minuscole e ridicole dita dei piedi. A questo punto un feto si chiama neonato. Mostra subito il pube per dichiararsi di genere maschile o femminile. Segue un momento di riflessione, forse di paura: lo testimonia quel cordone ombelicale che lo àncora al vecchio mondo da cui proviene. Vi passano i vasi sanguigni che portano ossigeno e nutrimento prendendoli dalla madre.
Sono affascinato da questo fragile legame, e ogni volta che assisto a una nascita biologica mi piace osservarlo. Mi ricorda una liana che potrebbe riportare quella vita ancora dentro il mistero. È nel momento in cui si rompe che propriamente nasce un individuo biologico, una nuova unità popolerà il nostro pianeta. Sono innumerevoli le modalità con cui si taglia: ora ci si serve del bisturi, ma un tempo si adoperavano i capelli della madre, o un oggetto passato attraverso le purificazioni magiche, o persino un morso. Qualche volta detesto il sapere dell’anatomia; mi impedisce di pensare a uno spirito che dentro il corpo della madre sostenga la vita che ha generato, muovendola sul teatrino di una piazza come attraverso i fili sapientemente tirati da un buon burattinaio.
Si attribuisce ai Natufiani, popolo preistorico di pastori vissuto nell’VIII millennio avanti cristo in Palestina, l’aver collegato la nascita con il rapporto sessuale: una scoperta straordinaria che ha correlato una causa a un effetto che si verifica a distanza di nove mesi. Fino a circa 10.000 anni fa, la nascita biologica era un tema per la fantasia e per la religione. Oggi, in epoca scientifica, sono scomparsi gli spiriti e non accadono più miracoli: doveva essere straordinario crederci e vederli. Nelle cronache relative al primo monachesimo cristiano del IV secolo gli eremiti, i monaci ne facevano continuamente e alcuni protestavano quando sapevano di gente che veniva da lontano e non si era fermata per il miracolo da un noto eremita di quei luoghi. Molto spesso rendevano fertili donne che non riuscivano a partorire e che per questo vivevano una condizione paradossale: quella di generatrici sterili che partoriscono il nulla. Senza spiriti, la nascita di un bambino è l’espressione di un determinismo meccanico dove tutto è atteso e banale. Non se ne occupa più nemmeno la poesia: oggi è più attraente vedere come nasce un giornale, come si fabbrica un paio di scarpe.
Rotto il cordone ombelicale, un neonato deve piangere, e se riesce a urlare significa che potrà diventare un gigante. Il pianto è la più sicura testimonianza che la respirazione è partita e con la respirazione la vita autonoma. Il sangue non ha più bisogno di circolare a contatto di quello della madre. Abitualmente il neonato veniva fasciato tanto da sembrare una piccola mummia. Lo si riteneva una entità vegetale che doveva solo crescere sotto l’unico controllo degli occhi della madre prima, della bilancia poi. Un oggetto che, come avrebbe detto Aristotele, possedeva l’anima vegetativa, quella animale, ma non lo spirito. È capitato anche a me: sono rimasto fasciato fino a sei mesi ed è un peccato abbia dimenticato quel periodo di incarcerazione neonatale. Eppure dentro quelle fasce c’era una piccola “psiche”, un mondo interiore che aveva bisogno di “muoversi”. Si ritiene oggi che un feto a cinque mesi e mezzo percepisca i suoni e quindi avverta già il cuore della madre che batte con i differenti ritmi di quando è tranquilla oppure è arrabbiata.
Fino alla introduzione degli antibatterici la mortalità neonatale era elevatissima. La nascita non dichiarava anche uno stato di vita, occorreva che passasse quel periodo di catastrofe che cancellava nove neonati su dieci. Questa strage non è poi lontana nel tempo: se ne conserva ancora il ricordo tra i “nostri vecchi”. All’unità d’Italia la vita media era di 33 anni ed era più sorprendente che un neonato vivesse piuttosto che morisse. Oggi le società si preoccupano delle “troppe nascite”: in realtà, e sembra un paradosso, “si muore poco”. L’esplosione demografica è in parte dovuta all’alta probabilità che oggi un neonato ha di vivere.
Insomma, la nascita biologica un tempo non era ancora vita ma una semplice premessa per un possibile esistere che avrebbe portato alla vera nascita: quella sociale. Un momento ancora più misterioso poiché sanciva l’ingresso, dentro quel corpo animale, dello spirito umano: il neonato diventato uomo. E l’uomo si caratterizza perché appartiene a un gruppo sociale. Questa rinascita è sempre stata frutto di una celebrazione magica, generata attraverso il rito. La magia non è una teoria o una concezione del mondo come per esempio la mitologia, ma è un operare, un fare. Il rito modifica la realtà e la parola magica non è metafora, ma azione. Il bene-dicere è un fare, come il male-dicere. Nelle culture magiche c’è una grande attenzione a pronunciare le parole proprio perché sono azioni. Quando riportiamo che in alcune popolazioni determinate parole sono tabù, equivale a dire che non è possibile pronunciarle e dunque provocare certe azioni.
Uno dei segni della nascita sociale è l’acquisizione del nome. Nel libro della Genesi, Dio dà un nome agli animali che ha creato: un’identificazione per distinguere l’uno dall’altro, per passare da un indistinto a un individuo. Il nome ha un significato magico poiché il nome è la persona. Il battesimo cristiano è un rito di rinascita e consiste in una esorcizzazione per decontaminare dal demonio il corpo e successivamente in una invocazione perché entri l’anima che dona la specifica caratteristica umana. Solo nel momento del rito avviene la nascita che corrisponde, nella tradizione della Genesi biblica, al gesto con cui il Creatore ha soffiato sulla sua statua di creta. Spirito vuol dire “vento”, “respiro”, e nella sua etimologia richiama una realtà invisibile ma non immateriale. È quel soffio a pervadere il corpo e ad animarlo. Nella concezione primitiva manca l’idea di una essenza platonica, non esiste la distinzione tra materiale e immateriale, ma tra visibile e invisibile, e ciò che accade nel rito magico è invisibile ma concreto. Il rito della nascita è dunque l’insieme di una purificazione e di un invasamento: esce il male ed entra lo spirito del bene; esce la morte ed entra la vita. Quest’ultimo effetto è efficacemente espresso dalla parola amore che deriva, per combinazione e contrazione, da a-morte e, dunque, come indica quella a privativa, come privazione della morte. Ecco perché la nascita è metafora dell’amore.
Alla purificazione segue l’offerta, e il bambino viene levato al cielo: un dono agli dei. È un gesto presente in molti riti della nascita sociale, in particolare in quelli che si inseriscono nella tradizione ebraico-cristiana dove domina, esemplare, la figura di Abramo che dona a Dio il proprio figlio Isacco; prende un coltello, tiene il piccolo per mano e s’incammina su per il monte per il sacrificio che Dio gli ha richiesto. Le offerte venivano di solito bruciate, diventavano fumo, e così salivano al cielo. Il gesto di portare il bambino in alto sta a indicare questo “salire” nel luogo degli dei. Persino nel popolo antico meno devoto, nella Roma latina, Levania – attributo della dea Giunone – proteggeva la nascita, e a questo gesto di “levare” si associa sia il termine “allevare” sia quello di “levatrice” con cui viene indicata l’ostetrica.
Il rito con cui inizia la storia di ciascuno è intimamente legato nel suo significato originario, in gran parte divenuto inconsapevole, alla cultura degli spiriti come cause della vita e dei comportamenti umani. Se gli spiriti del male ritornano a impossessarsi del corpo, occorre ripetere quell’iniziale esorcismo e poi di nuovo invocare la possessione dello spirito buono. A cui non si collegano solo celebrazioni religiose come la confessione-comunione (con la prima esce il demonio, con la seconda entra lo spirito del Signore) ma anche pratiche mediche che non hanno soltanto dominato il passato ma persistono tuttora. Il salasso, i purganti, gli espettoranti, gli emetici sono mezzi che fanno uscire dal corpo sostanze tossiche: gli umori cattivi di Ippocrate o, appunto, gli spiriti del male. La medicina è stata per molto tempo una pratica magico-religiosa e in molte popolazioni “primitive” dell’Africa lo sciamano è ancora un medico-mago-sacerdote, il quale ottiene i poteri da speciali divinità. La malattia è dunque una contaminazione. Nei periodi storici delle “grandi paure” come le pesti, le invasioni, le epidemie o le ecatombi, le malattie diventavano ossessioni collettive.
Il periodo che intercorre tra la nascita biologica e quella sociale varia da cultura a cultura, non solo per la durata ma anche per la condizione in cui sono obbligati neonato e madre: un binomio necessario in tutte quelle società che hanno preceduto l’alimentazione artificiale.
Nel villaggio Dogon, nella zona di Bandjagara (Mali) in cui ho vissuto, una donna che riconoscesse di essere vicina al parto abbandonava la propria capanna e si portava nella “capanna delle donne”. Di forma rotonda, la casa era dotata di una piccola apertura di accesso; per il resto, se si eccettua una ancor più piccola finestra, era ermeticamente chiusa. Qui partoriva aiutata dalle donne che lì si trovavano, o anch’esse per un parto o perché mestruate. Usciva da questo “rifugio” soltanto quando cessava la lochiazione, la perdita di sangue attraverso il canale vaginale: in genere dopo 40 giorni. Per il periodo mestruale la permanenza era di 4-5 giorni. Le donne ricevevano il cibo attraverso quella finestrina. La casa costituiva il luogo dove nascondere cautelativamente le persone che non erano in grado di partecipare alla vita sociale. Attraverso la vagina fuoriescono germi che dunque inquinano persone e cose, e naturalmente il neonato che, “sporco”, non poteva essere accudito nella comunità.
La casa delle donne fa affiorare alla mente l’immagine dei santuari del parto trovati in Asia minore e in funzione già nel 6.000 avanti Cristo (sotto questo aspetto presenta grande interesse il santuario di Catal Huyuk, nell’Anatolia centrale, dove fu trovata la maestosa Dea Madre sul trono, fiancheggiata da due felini, che sta partorendo). Questo ricordo legato alla mia esperienza in Africa sottolinea anche quanto fosse importante la presenza degli spiriti nella dinamica sociale e rivela che cosa rappresenta concretamente la purificazione. Immergersi nell’acqua è un’operazione tutt’altro che simbolica e quindi lontana dalla percezione che ne ha l’homo civilis. Questo scenario africano non è poi così paradossale se lo si confronta con il periodo di “quarantena” in cui nella cultura cristiana erano obbligati madre e neonato prima di poter accedere al tempio: il neonato riceveva il battesimo e contemporaneamente la puerpera era purificata all’altare della Madonna. Tra i Dogon, se il neonato muore prima del rito purificatore, non ha diritto alla celebrazione funebre, proprio perché è come non fosse mai nato, ed è curioso che in certe tradizioni religiose, compresa quella cattolica, siano stati previsti luoghi post mortem speciali per questi casi, come il limbo. Nello stesso villaggio la celebrazione per la morte del capo durò due mesi, a indicare una progressione che lega l’espressione esistenziale alla sua dimensione sociale. Il dato biologico è un avvenimento banale che appartiene alla natura, mentre la vita sociale è patrimonio della comunità, e cioè della tradizione che rappresenta in gran parte la cultura.