Affettività e adolescenza: Andreoli striglia la società

Fonte: messaggeroveneto.gelocal.it

22 febbraio 2014

Il noto psichiatra al Verdi di Pordenone, a confronto con una platea di giovani e genitori. «I ragazzi di oggi si buttano via, abbiamo il compito di insegnare loro a vivere»

PORDENONE. «Preferisco i ragazzi agli adulti». Con questa premessa, Vittorino Andreoli, uno dei massimi esponenti della psichiatria mondiale, circondato sul palcoscenico da decine dei suoi preferiti, ha spalancato ieri le porte del mondo giovanile ai pordenonesi, e non, accorsi al teatro Verdi per ascoltarlo. L’occasione era data dall’incontro legato al progetto di educazione teatrale “Adotta uno spettacolo”, a cura dell’associazione Thesis.

La famiglia. Lo spunto per un’anteprima del suo nuovo libro – “L’educazione (im)possibile”, sottotitolo “Orientarsi in una società senza padri”, edito nella collana Saggi Rizzoli – si trasforma, con la partecipazione di Patrizia Baggio, in un’avvincente conversazione a ruota libera, con l’abilità speciale di portare alla luce concetti seri e importanti anche con la battuta e l’aria scherzosa.

Si comincia dalle fondamenta: la famiglia. In una società in continuo movimento non si può pretendere di rimanere legati al modello di famiglia del nostro passato. Tutto cambia, così i ragazzi. Essere adolescente significa essere parte del mondo presente, e la famiglia dev’essere, per eccellenza, il luogo dei sentimenti e degli affetti, dell’amore e anche della fatica. «In questa società stiamo perdendo i legami affettivi - spiega lo psichiatra - ma ci perdiamo nei dettagli inutili». Lancia più di un allarme Andreoli, che procede come un torrente in piena toccando tutti temi cari all’adolescenza («L’adolescenza è una roba che finisce! Dobbiamo aiutarli senza drammi e senza paura che diventino piccoli eroi»).

I ragazzi. Il noto psichiatra si rivolge ai ragazzi, seduti al suo fianco, incitandoli a comprendere la grandezza del vero eroe, ad esempio Ettore che prima di morire in battaglia contro Achille, consapevole della sua fine imminente, va a salutare il figlioletto. Commenta: «I ragazzi oggi, si buttano via e noi abbiamo il compito di insegnare loro a vivere. E vivere significa sapere gestire le relazioni ma soprattutto, i legami affettivi. Cari ragazzi, dovete distinguere tra emozioni e affetti». Le prime sono risposte che si danno agli stimoli, i secondi invece, sono legami e perdurano anche nell’assenza dell’altro. Una chiave per vincere la paura di vivere.

La scuola. Sul piatto della bilancia, in definitiva, meglio salvare la “storia piccola” della famiglia che quella grande, con la S maiuscola, che insegna battaglie e nomi d’imperatori. Compito difficile per una scuola che deve insegnare ad una generazione che non sente il futuro. Dovrebbe trasformarsi nel primo laboratorio degli affetti, un luogo speciale, dove la classe diviene l’orchestra, e l’insegnante il suo direttore. Dove tutti possono capire la cosa più importante: imparare a dare il massimo secondo le proprie capacità, imparando a vivere insieme.