Vittorino Andreoli, Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio)
Fonte: cooconers.com
7 aprile 2023 | Ursula Beretta
L’ultimo libro del celebre psichiatra e saggista è un canto d’amore e insieme un messaggio di forza per i vecchi, invitati a vivere pienamente una fase della vita ricca di opportunità
La vecchiaia è un privilegio. Non usa giri di parole per entrare in medias res Vittorino Andreoli, psichiatra di fama internazionale e saggista che dedica il suo ultimo libro, “Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio)” edito da Solferino, proprio a quella terza fase della vita a cui lui stesso appartiene e che sempre più, nel mondo moderno, viene ostracizzata. Alla stregua di un moderno Seneca, Andreoli costruisce una lunga riflessione ricca di declinazioni, di moniti e di certezze e, al contempo, condivide un invito ad amare la vecchiaia soffermandosi su tutte quelle caratteristiche positive che la rendono un unicum e, soprattutto, un’opportunità. Del resto, il punto di partenza del suo saggio è spiazzante nella sua elementare verità e regala un approccio positivo a quello che, erroneamente, è stato sempre considerato un momento di perdita e di declino, oltre che di degenerazione fisica e intellettuale. L’aspetto che lui considera il pericolo maggiore è, però, quella tendenza al giovanilismo, intesa come una vera e propria patologia, che spinge le persone vecchie – sono chiamati sempre così, vecchi e vecchie, senza alcuna perifrasi– a non accettare di essere tali e a rendersi ridicole e pure folli scimmiottando un’età della vita che non tornerà più e, cosa ancora più grave, non approfittando a dovere dei vantaggi della vecchiaia.
Vecchiaia e pudore
C’è una profonda umanità nelle parole che Andreoli usa per rivolgersi ai suoi interlocutori, un’empatia che lo porta a scandagliare esistenzialmente la vecchiaia anche nei suoi aspetti normalmente coperti da un obsoleto senso del pudore. Parla di affetti, di amore, di sessualità facendo fuori quei pregiudizi che troppo spesso limitano la vecchiaia che, al contrario, è invece al centro di quella dimensione affettiva che è uno dei valori fondamentali della società. È un chiaro invito, il suo, a non prescindere da un corollario amoroso spesso tacciato di disappunto, a vivere con la massima libertà seguendo una passione che, soprattutto da vecchi, diventa il vero motore della vita. Non è la tentazione dell’eternità, che semmai si risveglia nel diverso modo di costruire il patrimonio mnemonico che un vecchio lascerà dopo di sé, ma quella gran voglia di vivere – e di godere tutta la bellezza del vivere – che non deve essere soffocata ma semmai alimentata anche da risvolti sociali mossi essenzialmente dai sentimenti e non da interessi economici. Andreoli ricorda, infatti, come l’utilità dei vecchi nella società non sia commisurata al denaro ma agli affetti, a quella loro generosa voglia di donare senza ricevere altro in cambio che non sia attenzione e, naturalmente, il riconoscimento del loro ruolo all’interno del vivere civile. È un monito dolce a recuperare i costumi di un tempo passato in cui la vecchiaia era sinonimo di saggezza e il vecchio era parte attiva – e importante- della storia della sua civiltà. E com’è che questa ricchezza è andata persa?
I falsi miti della vecchiaia
La disamina di Andreoli prosegue nell’analizzare i falsi miti legati alla vecchiaia che hanno contribuito, nel tempo, a creare sterili preconcetti e per farlo si appella alla scienza, tira in ballo la vitalità dei neuroni, guarda il cambiamento fisico non come un decadimento ma secondo un’altra prospettiva. E ancora elimina le scontate equazioni tra la vecchiaia e le malattie, smontando i semplicistici luoghi comuni per restituire una visione quanto più completa e reale della vecchiaia, elogio della solitudine compreso.