Il limite della psiche
Fonte: Corriere della Sera
30 maggio 2023 | Alessandra Stoppini
«Anche nei peggiori criminali non ho mai trovato il mostro, ma uomini che compivano il male»
Non ha «mai» usato violenza nei trattamenti. Mai nessuno dei suoi collaboratori lo ha potuto fare. «Dei mezzi di contenzione quando sono diventato primario di psichiatria all’ospedale di Marzana ho fatto un falò che alcuni ancora ricordano». Si è sempre distinto, nel mondo della psichiatria, anche per questa netta posizione Vittorino Andreoli, membro della New York Academy of Sciences, psichiatra e neurofarmacologo di fama mondiale. Autore di molte opere che focalizzano le problematiche della società, è ospite per Rinascimento Culturale questa sera alle 20.45, a Travagliato alla Cooperativa Il Vomere per l’incontro «La fragilità: dall’io al noi».
Professor Andreoli, ha dedicato la sua esistenza allo studio dell’uomo, «l’unica specie cui si associ la parola psyché». Verso quale orizzonte sta andando?
«Nella storia dell’antropologia l’uomo sta incontrando grosse difficoltà. Pur avendo l’essere umano caratteristiche uniche rispetto alle altre specie, ha molti limiti, e nella lettura di questa crisi la parola che li esprime è “fragilità”. Mentre le altre specie sono adattate al mondo come ambiente naturale, l’uomo va incontro a grosse crisi che si manifestano in guerre e odi. La psiche è privilegio e limite. La fragilità è il senso del limite che l’uomo percepisce in tutte le fasi della vita; va distinta dalla debolezza, che è caratteristica strutturale della vita umana. Le crisi forse nascono dalla percezione che la nostra vita ha limiti non superabili».
Su quali patologie hanno maggiormente inciso lockdown, spettro del Covid-19 e pandemia?
«La patologia che ha dominato in tutte le fasce è stata la depressione; non trovare risposta alla paura del virus e della guerra. Ma la fragilità comporta il bisogno dell’altro: l’Io è insufficiente. In questo momento storico c’è il delirio dell’Io, egocentrismo narcisistico fino alla paranoia, e non viene data risposta alla fragilità che chiede di passare dall’Io al Noi. Se non correggiamo la tendenza all’onnipotenza dell’Io, saremo sempre in crisi».
Come spiega l’evoluzione narcisistica della nostra società? Quali le origini e quali gli esiti?
«In questo momento il grande rischio di patologia è il potere. Mai come in questo tempo il potere dell’Io è giunto a dimensioni così elevate. Ci sono uomini che possono scatenare una guerra atomica. Si è parlato di apocalisse nucleare. Prima della bomba atomica, l’apocalisse era associata agli dei. Il delirio di potenza dell’Io è maggiore grazie alle tecnologie che abbiamo. Ma non è solo l’atomica... Penso alle tecnologie digitali e mi sovviene il libro bellissimo di Chomsky, I padroni dell’umanità [Saggi politici 1970-2013, NdR]. Fino ad ora, c’erano i padroni delle cose del mondo. Oggi, però, ci sono tecnologie che danno il potere degli dei. E anche nelle famiglie domina l’ego, l’ego di lui o lei che si vuole imporre. L’unica salvezza alla pulsione ego-centrata dell’Io è il Noi. Stabilita la patologia dell’Io, il rimedio è tener conto dei bisogni dell’uomo fragile che richiede il Noi: condivisione e aiuto, cooperazione e rispetto.
La relazione è la risposta alla fragilità».
Perché molti partono dal presupposto di pensarsi come entità individuali, oggi? I matrimoni duraturi sono destinati sempre più a diminuire?
«Lo stato attuale è quello di una donna moltissimo cresciuta dal punto di vista mentale nella gestione degli affetti. Il maschio è rimasto spesso omuncolo che risponde ancora con l’ego. Si è risentito e non sa sopportare un distacco, una separazione, perché all’Io corrisponde il “mio”».
Non si fanno più figli realmente “solo” perché non ci sono stipendi e welfare allineati?
«No, perché oggi la crescita dei figli è difficile e non c’è desiderio di darsi all’altro alla luce del fatto che far figli è metamorfosi di coppia. I narcisi non fanno figli. Alla dimensione dell’Io deve corrispondere “Noi siamo una piccola storia”. La famiglia è un Noi, un insieme. Bisogna fare un salto tra Io e Noi».
Come agire per aiutare i bambini a crescere in una società che spesso li tratta da baby adulti?
«La parola che origina dalla fragilità è relazione: il bambino ha bisogno di un mondo che si dedichi a lui. Bisogna che una classe sia un gruppo e si insegni a stare in quel gruppo».
Nella sua vita ha visto da vicino il male. Qual è la storia che più l’ha colpita?
«Il più grande criminale del Novecento che in sei mesi ha ammazzato 17 persone, Donato Bilancia. Un altro caso è quello di una madre che ha annegato il bambino di 5 anni in provincia di Brescia con l’idea non saperlo allevare e pensando di darlo alla propria madre, che non c’era più. Il gesto di uccidere può paradossalmente portare all’amore. Anche nei casi più mostruosi ho sempre trovato l’uomo, il mostro non l’ho mai trovato. Uomini e donne che compivano il male».