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Essere padri, essere figli

Rudyard Kipling

Fonte: glistatigenerali.com

15 novembre 2021 | Alida Airaghi

Soggiogata da improvvise e incontenibili nostalgie senili, da un po’ di tempo ho ripreso in mano, con scontata commozione, le letture che hanno segnato la mia infanzia: Pattini d’argento, Piccole donne, I ragazzi della Via Paal, Davide Copperfield, Capitani coraggiosi e, ovviamente, Il libro della giungla. Mowgli, Baloo, Kaa, Bagheera, Shere Khan, Rikki Tikki Tavi. Mi riecheggiano nella memoria addirittura le battute più famose dei protagonisti: “Siamo dello stesso sangue, voi e io!”

Quindi, appena ho scoperto tra le ultime pubblicazioni di Garzanti una riedizione della poesia più nota di Rudyard Kipling, con un saggio interpretativo di Vittorino Andreoli, mi sono precipitata ad acquistarla nel conveniente formato ebook. Il titolo originale della composizione, If, è stata tradotto in maniera più accattivante, rielaborandone l’ultimo verso: Sarai un uomo, figlio mio.

Kipling (Bombay 1865-Londra, 1936), premio Nobel a 41 anni nel 1907, famosissimo nella cultura di massa per i suoi romanzi e racconti – rivisitati dal cinema, osannati da movimenti religiosi e scoutistici, sfruttati dalla fantascienza – fu spesso osteggiato dalla critica per la sua appartenenza alla massoneria e per la sua visione ideologica e politica favorevolmente orientata verso il colonialismo e l’imperialismo: rimane comunque uno dei pilastri della letteratura mondiale novecentesca.

If è una missiva poetica dall’andamento sermoneggiante scritta nel 1895, composta come tributo a un uomo politico e avventuriero inglese, di cui l’autore ammirava la statura umana e militare. Nel 1910, in occasione della pubblicazione, Kipling la dedicò al figlio tredicenne John. Il testo incoraggia in un figlio immaginario le virtù più rispondenti alla costruzione di una personalità ideale: audacia, indipendenza di giudizio, pazienza, fede nei propri principi, rispetto verso gli altri, resistenza alle offese e alle calunnie, capacità di rialzarsi dopo un fallimento, autocontrollo emotivo e fisico, attitudine al sogno e alla creatività, premurosa attenzione per ogni istante vissuto. In pratica, si tratta un’esortazione a raggiungere la perfezione morale. La poesia, accompagnata dalla versione in lingua inglese, consta di trentasei versi liberi, in cui tredici strofe iniziano con l’ipotetico “If you can”: se saprai, se riuscirai, se potrai.

Il saggio di Vittorino Andreoli ripercorre le vicende biografiche dello scrittore britannico, e sonda con perizia e sensibilità le dinamiche che intercorrono nel rapporto generazionale padre-figlio, partendo proprio dall’esperienza vissuta dai padri nella loro posizione di figli.

Vittorino Andreoli, Italian writer and psychiatrist, Milan, Italy, 10th March 2016. (Photo by Leonardo Cendamo/Getty Images)

Rudyard Kipling, nato in India da genitori insegnanti in una scuola d’arte, seguito amorevolmente in famiglia e dalla servitù indigena, a sei anni fu mandato con la sorellina in Inghilterra per motivi di studio, a pigione in una famiglia di rigorosa fede evangelica, in una situazione “di sradicamento, se non di abbandono”. Le umiliazioni e la mancanza di affetto patita negli anni di formazione senz’altro ne minarono il carattere, ma in qualche modo spiegano anche le ragioni per cui la sua scrittura fu prevalentemente rivolta al mondo fantastico dell’infanzia, a compensare un vuoto, e a riappropriarsi di un “oggetto perduto”. Il figlio John era il suo terzogenito, e l’unico maschio: Kipling fece in modo di farlo arruolare come ufficiale allo scoppio della guerra, e il giovane cadde in battaglia, appena diciottenne, il 27 settembre 1915.

Andreoli valuta il contenuto di If dal punto di vista pedagogico, poiché suo primo intento è quello di insegnare a vivere comportandosi con correttezza e magnanimità. La poesia non è didascalica in maniera impositiva e autoritaria, ma suggerisce benevolmente obiettivi concretizzabili per raggiungere la piena dimensione umana. Kipling padre ha ben presente anche il proprio passato di figlio, a cui sono mancati incoraggiamenti affettivi ed esempi da seguire. Secondo lo psichiatra veronese “È importante che un educatore sappia far riferimento a propri modelli, mostrando così che anch’egli si trova all’interno di un processo di apprendimento, di educazione”.

Kipling ha messo in luce nel testo alcune fondamentali qualità caratteriali e intellettuali individuate ed elogiate anche nel suo personaggio più famoso, Mowgli, che, pur inserito in un ambiente estraneo e difficile come la giungla, riesce a creare intorno a sé uno spazio vitale favorevole e condiviso. La composizione è permeata di influenze filosofiche positiviste, che orientando i propri criteri educativi entro i confini del binomio “comprendere” e “volere”, sottovalutavano o addirittura escludevano l’affettività, cioè l’insieme delle emozioni, dei sentimenti e dei piaceri, considerati ostacoli nell’esercizio oggettivo dell’agire e del dovere. Alla nostra sensibilità contemporanea, If, mancando di un orizzonte emozionale di rilievo, appare forse pedagogicamente discutibile e inopportuna, addirittura paternalisticamente ricattatoria, troppo responsabilizzante e retorica. Recentemente è stata oggetto di una forte contestazione da parte degli studenti dell’Università di Manchester, che rifiutando la visione razzista e imperialista esibita dall’autore in alcuni suoi libri, l’hanno rimossa da un’esposizione, perché limitativa dell’emancipazione e delle libertà individuali.

Rudyard Kipling, Sarai un uomo, figlio mio – Garzanti, Milano 2021, p. 64

Postfazione di Vittorino Andreoli, traduzione di Giuseppe Maugeri