La putana: uno spettacolo teatrale che arriva come uno schiaffo in pieno viso
Fonte: laltrofemminile.it
Erna Corsi
Vittorino Andreoli e Teatro Scientifico – Teatro Laboratorio hanno creato una performance vivace e tagliente, cruda come la realtà.
L’atto unico La putana di Vittorino Andreoli è uno spaccato di realtà che arriva come un secchio di acqua gelata. L’autore è uno stimato psichiatra veronese, conosciuto a livello nazionale anche dal grande pubblico, grazie alle sue partecipazioni ad alcuni talk show. Autore di molti libri, ha donato il dittico La putana e La bambola alla Compagnia teatrale Teatro Scientifico – Teatro Laboratorio. Isabella Caserta e Francesco Laruffa hanno prodotto uno spettacolo che riflette appieno il senso e il significato delle parole di Vittorino Andreoli.
Isabella Caserta si presenta in scena “con la mercanzia in mostra”, per sua stessa ammissione. Parla solo in dialetto veronese, quello vero che si sente nelle strade, quello più marcato di chi fatica a parlare l’italiano. Con aneddoti irriverenti dipinge un quadro a tinte allegre, condito di battute e risate. Ammicca agli uomini fra il pubblico arrivando anche a sedersi sulle ginocchia di qualcuno.
Si ride e si sorride ma mentre il suo racconto procede, appaiono ombre nella sua vita che si allungano sempre di più. Fra le perversioni dei clienti e le loro vite così tristi da apparire a tratti quasi buffe, Anna (Ana) presenta la nostra società attraverso il suo sguardo vivido e crudo, ed è così tagliente da far male. È una progressione lenta quella che porta i suoi occhi allegri e sfacciati a farsi più scuri, fino a riempirsi di lacrime trattenute. Certo, lo ha scelto lei di fare questa vita, ma si chiede che cos’altro avrebbe potuto fare senza denaro e senza istruzione.
«Mi gò un cor grande, ma lori i vol el cul.»
(Ho un cuore grande ma loro vogliono il culo.)
Quando si toglie la parrucca rosa è quasi uno shock scoprire che là dietro c’è davvero una donna, fatta di carne ma anche di sogni e di speranze disilluse. Una donna che sa di aver giocato tutte le sue carte in quell’unica mano sfortunata. Una persona che la società ha relegato ai margini, per poter fingere che non esista. Almeno fino alla prossima volta che andrà a cercarla sul suo marciapiede.